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PESCARA – C’è un primo indagato per la tragica morte di Fatime, la ragazzina di 12 anni annegata giovedì scorso mentre faceva il bagno nel tratto di mare tra gli stabilimenti Jambo e Plinius, a Pescara. Si tratta della giovane donna a cui Fatime era stata affidata, insieme ad altri sette bambini – tra cui il suo stesso figlio, che teneva in braccio – durante un pomeriggio trascorso sulla spiaggia libera all’altezza di via Muzii, insieme a fratelli e cugini.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura, dal lavoro della polizia e della Guardia costiera, la babysitter non avrebbe esercitato un’adeguata vigilanza. Lo sostiene il pubblico ministero Rosangela Di Stefano, che ha iscritto la donna nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato legata all’omessa custodia di minori.
La giovane, residente a Pescara e legata a un familiare dei bambini, aveva il compito di sorvegliare il gruppo, composto da ragazzini di età compresa tra i 3 e i 13 anni. In acqua sarebbero entrati solo i quattro più grandi, tutti – secondo le testimonianze – in grado di nuotare. Le condizioni del mare, inoltre, erano giudicate tranquille. Ma qualcosa è andato storto.
Il dramma è iniziato con le urla delle sorelle di Fatime, che stavano facendo il bagno con lei. Dopo averla vista in difficoltà, hanno tentato di soccorrerla, ma l’hanno persa di vista. I momenti concitati hanno attirato l’attenzione di un dipendente dello stabilimento Jambo e di una bagnante, che hanno dato l’allarme. La prima chiamata alla Guardia costiera è partita alle 17:10. Sono trascorsi circa 50 minuti prima che il corpo della ragazzina venisse recuperato. Le sue condizioni erano già gravissime: è morta poco dopo in ospedale.
Ora sarà l’autopsia a chiarire le cause esatte del decesso, mentre la famiglia si interroga su come sia potuto accadere, soprattutto considerando che Fatime sapeva nuotare. Per il momento, l’unica a dover rispondere della tragedia è la baby sitter, che durante le ore drammatiche delle ricerche è svenuta, sopraffatta dallo shock.
Il dolore è profondo e condiviso da tutta la comunità. Denis Kossi Lossou Gavor, padre di Fatime, è in Italia da 33 anni, dove era arrivato come rifugiato politico dalla Guinea. Da tempo vive stabilmente a Pescara con la famiglia. Distrutto dalla perdita della figlia, si è affidato a un avvocato per ottenere chiarezza sulle responsabilità e comprendere se Fatime avrebbe potuto essere salvata.
Parole di commozione sono arrivate anche da Patrick Guobadia, portavoce del Forum internazionale dei nigeriani e migranti, e sindacalista Cgil in pensione, che conosce il padre di Fatime fin dai suoi primi anni in Italia:
«Fatime era una ragazza solare, amata da chiunque abbia avuto il privilegio di conoscerla. Il suo sorriso e la sua gentilezza resteranno per sempre impressi nei cuori di chi l’ha amata».
Anche il presidente del Coni Abruzzo, Antonello Passacantando, ha voluto ricordarla:
«Fatime era piena di entusiasmo, e la sua presenza rappresentava la gioia e la speranza che solo lo sport può trasmettere ai più piccoli. La sua assenza è un vuoto che non si colmerà facilmente».
Durante le attività dello “Sport non va in vacanza”, che Fatime frequentava con entusiasmo, è stato osservato un minuto di silenzio in suo onore. Un gesto di affetto, in una città ancora sotto shock per una tragedia che lascia domande aperte e cuori spezzati.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura, dal lavoro della polizia e della Guardia costiera, la babysitter non avrebbe esercitato un’adeguata vigilanza. Lo sostiene il pubblico ministero Rosangela Di Stefano, che ha iscritto la donna nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato legata all’omessa custodia di minori.
La giovane, residente a Pescara e legata a un familiare dei bambini, aveva il compito di sorvegliare il gruppo, composto da ragazzini di età compresa tra i 3 e i 13 anni. In acqua sarebbero entrati solo i quattro più grandi, tutti – secondo le testimonianze – in grado di nuotare. Le condizioni del mare, inoltre, erano giudicate tranquille. Ma qualcosa è andato storto.
Il dramma è iniziato con le urla delle sorelle di Fatime, che stavano facendo il bagno con lei. Dopo averla vista in difficoltà, hanno tentato di soccorrerla, ma l’hanno persa di vista. I momenti concitati hanno attirato l’attenzione di un dipendente dello stabilimento Jambo e di una bagnante, che hanno dato l’allarme. La prima chiamata alla Guardia costiera è partita alle 17:10. Sono trascorsi circa 50 minuti prima che il corpo della ragazzina venisse recuperato. Le sue condizioni erano già gravissime: è morta poco dopo in ospedale.
Ora sarà l’autopsia a chiarire le cause esatte del decesso, mentre la famiglia si interroga su come sia potuto accadere, soprattutto considerando che Fatime sapeva nuotare. Per il momento, l’unica a dover rispondere della tragedia è la baby sitter, che durante le ore drammatiche delle ricerche è svenuta, sopraffatta dallo shock.
Il dolore è profondo e condiviso da tutta la comunità. Denis Kossi Lossou Gavor, padre di Fatime, è in Italia da 33 anni, dove era arrivato come rifugiato politico dalla Guinea. Da tempo vive stabilmente a Pescara con la famiglia. Distrutto dalla perdita della figlia, si è affidato a un avvocato per ottenere chiarezza sulle responsabilità e comprendere se Fatime avrebbe potuto essere salvata.
Parole di commozione sono arrivate anche da Patrick Guobadia, portavoce del Forum internazionale dei nigeriani e migranti, e sindacalista Cgil in pensione, che conosce il padre di Fatime fin dai suoi primi anni in Italia:
«Fatime era una ragazza solare, amata da chiunque abbia avuto il privilegio di conoscerla. Il suo sorriso e la sua gentilezza resteranno per sempre impressi nei cuori di chi l’ha amata».
Anche il presidente del Coni Abruzzo, Antonello Passacantando, ha voluto ricordarla:
«Fatime era piena di entusiasmo, e la sua presenza rappresentava la gioia e la speranza che solo lo sport può trasmettere ai più piccoli. La sua assenza è un vuoto che non si colmerà facilmente».
Durante le attività dello “Sport non va in vacanza”, che Fatime frequentava con entusiasmo, è stato osservato un minuto di silenzio in suo onore. Un gesto di affetto, in una città ancora sotto shock per una tragedia che lascia domande aperte e cuori spezzati.