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PESCARA. Riccardo Zappone sarebbe stato ucciso intenzionalmente. È quanto emerge dal decreto di perquisizione firmato dal pubblico ministero Gennaro Varone, che ha formalmente modificato il capo d’accusa nei confronti dei tre uomini coinvolti, ora indagati per omicidio volontario. Inizialmente erano accusati solo di lesioni aggravate, dopo la violenta lite con il 29enne, scoppiata nell’officina di strada comunale Piana e conclusasi poco più avanti, all’inizio di San Donato.
Secondo la ricostruzione della Procura, Angelo De Luca (60 anni), titolare dell’officina, il fratello Paolo De Luca (54) e il genero Daniele Giorgini (36) avrebbero aggredito Riccardo con calci e pugni, causandogli un trauma toracico chiuso e un’emorragia interna rivelatasi fatale. Il tutto potrebbe essere nato da un conflitto pregresso, legato – secondo gli inquirenti – a due possibili motivi: droga e denaro.
Dagli accertamenti tossicologici eseguiti dal professor Cristian D’Ovidio nell’ambito dell’autopsia, è emerso che Riccardo aveva assunto cocaina. Le indagini della squadra mobile hanno inoltre rilevato che la mattina del 3 giugno il giovane aveva prelevato 200 euro dal proprio conto, ma al momento dell’arresto ne aveva con sé solo 30. Da qui l’ipotesi della Procura: che quella somma sia stata usata per acquistare droga. Resta da chiarire se tale compravendita sia in qualche modo collegata ai tre indagati, o anche solo a uno di loro – in particolare Paolo De Luca, già noto alle forze dell’ordine.
Per questo motivo sono stati sequestrati i telefoni cellulari dei tre, allo scopo di verificare la presenza di messaggi pertinenti, tracce di sostanze stupefacenti o appunti legati alla cessione di droga. Proprio dai contenuti dei dispositivi si attendono ulteriori risposte: lunedì è prevista la nomina dell’esperto informatico Davide Ortolano per l’analisi tecnica.
Intanto, l’autopsia ha escluso il taser – utilizzato dalla polizia durante il fermo – come causa diretta del malore che ha portato alla morte del giovane. Tuttavia, restano da chiarire i rapporti causali tra l’aggressione e l’emorragia interna. Le telecamere di sorveglianza pubblica avrebbero ripreso chiaramente la fase del pestaggio da parte dei tre uomini, mentre un secondo video, custodito nel cellulare di uno degli indagati, mostrerebbe Riccardo steso a terra, pancia a terra, mentre gli agenti cercano di ammanettarlo per caricarlo sull’auto di servizio.
Secondo quanto riportato nel capo d’imputazione del pm, Riccardo «poco prima del malore, sintomo della patologia che ne ha causato il decesso, è stato percosso con violenza anche mediante un bastone di legno, riportando ferite sanguinanti». Il bastone sarebbe in realtà un manico di scopa, utilizzato presumibilmente dal genero del meccanico e spezzatosi durante l’aggressione. La ferita più grave, localizzata nella parte posteriore del cranio, potrebbe essere stata causata dalla caduta a terra in seguito a una spinta ricevuta – come dichiarato dallo stesso Angelo De Luca in un’intervista al Centro.
«Quella ferita era vecchia, incrostata – si è difeso De Luca – e si sarebbe riaperta nella caduta, come il sangue secco trovato sotto il naso del ragazzo». Ma le immagini e gli esami medico-legali racconteranno un’altra verità, da incrociare con i dati digitali e le testimonianze. L’inchiesta è ancora in corso.
Secondo la ricostruzione della Procura, Angelo De Luca (60 anni), titolare dell’officina, il fratello Paolo De Luca (54) e il genero Daniele Giorgini (36) avrebbero aggredito Riccardo con calci e pugni, causandogli un trauma toracico chiuso e un’emorragia interna rivelatasi fatale. Il tutto potrebbe essere nato da un conflitto pregresso, legato – secondo gli inquirenti – a due possibili motivi: droga e denaro.
Dagli accertamenti tossicologici eseguiti dal professor Cristian D’Ovidio nell’ambito dell’autopsia, è emerso che Riccardo aveva assunto cocaina. Le indagini della squadra mobile hanno inoltre rilevato che la mattina del 3 giugno il giovane aveva prelevato 200 euro dal proprio conto, ma al momento dell’arresto ne aveva con sé solo 30. Da qui l’ipotesi della Procura: che quella somma sia stata usata per acquistare droga. Resta da chiarire se tale compravendita sia in qualche modo collegata ai tre indagati, o anche solo a uno di loro – in particolare Paolo De Luca, già noto alle forze dell’ordine.
Per questo motivo sono stati sequestrati i telefoni cellulari dei tre, allo scopo di verificare la presenza di messaggi pertinenti, tracce di sostanze stupefacenti o appunti legati alla cessione di droga. Proprio dai contenuti dei dispositivi si attendono ulteriori risposte: lunedì è prevista la nomina dell’esperto informatico Davide Ortolano per l’analisi tecnica.
Intanto, l’autopsia ha escluso il taser – utilizzato dalla polizia durante il fermo – come causa diretta del malore che ha portato alla morte del giovane. Tuttavia, restano da chiarire i rapporti causali tra l’aggressione e l’emorragia interna. Le telecamere di sorveglianza pubblica avrebbero ripreso chiaramente la fase del pestaggio da parte dei tre uomini, mentre un secondo video, custodito nel cellulare di uno degli indagati, mostrerebbe Riccardo steso a terra, pancia a terra, mentre gli agenti cercano di ammanettarlo per caricarlo sull’auto di servizio.
Secondo quanto riportato nel capo d’imputazione del pm, Riccardo «poco prima del malore, sintomo della patologia che ne ha causato il decesso, è stato percosso con violenza anche mediante un bastone di legno, riportando ferite sanguinanti». Il bastone sarebbe in realtà un manico di scopa, utilizzato presumibilmente dal genero del meccanico e spezzatosi durante l’aggressione. La ferita più grave, localizzata nella parte posteriore del cranio, potrebbe essere stata causata dalla caduta a terra in seguito a una spinta ricevuta – come dichiarato dallo stesso Angelo De Luca in un’intervista al Centro.
«Quella ferita era vecchia, incrostata – si è difeso De Luca – e si sarebbe riaperta nella caduta, come il sangue secco trovato sotto il naso del ragazzo». Ma le immagini e gli esami medico-legali racconteranno un’altra verità, da incrociare con i dati digitali e le testimonianze. L’inchiesta è ancora in corso.